Dalla discussione avuta sul libro emerge che la grande maggioranza dei lettori di LeggiMi!! condivide un giudizio sintetico positivo.
Alcuni hanno avuto difficoltà a memorizzare o anche a pronunciare mentalmente i nomi dei personaggi, altri sono rimasti interdetti dal continuo spezzettamento della storia in brevi capitoli.
In generale il meccanismo della scomposizione del filo narrativo e delle prospettive multiple sugli stessi fatti da parte di ogni personaggio ha conquistato la maggioranza dei lettori che ha percorso convinta e avvinta fino alla fine le caselle di questa sorta di gioco dell’oca organizzato dall’autore.
Per alcuni (pochi) si è trattato di un capolavoro; per altri (pochi) questo meccanismo narrativo è risultato freddo e artificiale, da “scuola di scrittura”. C’è chi ha fatto paralleli con la storia del nostro terrorismo italiano e chi vi ha visto una propaganda delle nuove teorie sulla giustizia penale che dovrebbe farsi strumento di riparazione a beneficio degli offesi, anziché mera risposta statuale al vulnus del reato.
Il mio giudizio.
Il libro mi ha preso e a volte commosso. Le sfaccettature a occhio di mosca della narrazione non mi hanno disturbato. Anzi, la struttura a spirale del libro mi ha risucchiato e trovo che i tornanti e i flashback di questo percorso fossero necessari per affrontare, e sperare di superare, la ripida salita ciclistica verso quelle due montagne aspre, granitiche e quasi inaccessibili rappresentate dai personaggi principali delle due donne terribili: Miren e Bittori.
Loro sì sono “irriducibili”. Ben più dei terroristi in carcere.
Invece ho trovato poco convincente, nella seconda parte, il disegno del percorso psicologico della vedova, dalla reazione pugnace alla sollecitazione di una semplice richiesta di “scuse”.
Quanto alle suggestioni storiche o politiche, io non ho visto nel libro nemmeno il tentativo di spiegare uno straccio di sostanza ideologica al fondo della lotta; quindi non ci vedo paralleli con i nostri anni di piombo. Invece i soprusi ingiustificati perpetrati all’interno di un tessuto sociale ostile e coeso rimandano più alle nostre criminalità “regionali”.
Non ho riscontrato alla lettura un’enfasi particolare sulla “privatizzazione” della giustizia penale o una sua sponsorizzazione, che peraltro io vedrei come un passo indietro nel cammino dell’umanità.
Invece credo ci sia nel libro un j’accuse sottinteso molto forte, non esplicito (forse solo nel titolo?): l’assurdità del mito della Patria, l’euskera, il continuo “noi e loro”, totalmente privo di senso, addirittura all’interno di un villaggio, di un gruppo di amici, di una famiglia.
Le parole che mi restano: ama, aita, aimona, aitone. Le immagini che mi restano: le battute vitali di una paralitica e i singhiozzi dissimulati di un pensionato in tenuta da ciclista in visita al cimitero.